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Storia e tradizioni

Agrigento

Tempio della Concordia

Agrigento è un’antica città greca situata sulla costa meridionale della Sicilia. Il suo territorio è stato abitato fin dalla preistoria, come dimostrano le testimonianze risalenti all’età del rame e del bronzo ritrovate nelle immediate vicinanze della città. La nascita di Agrigento è legata allo sviluppo della polis Gela; furono infatti alcun abitanti di Gela originari delle isole di Rodi e di Creta che, nel 581 a.C. fondarono Akragas, che prese il nome dell’omonimo fiume che bagna il territorio. La nuova polis nacque dalla necessità che avvertirono i Geloi (antichi gelesi) circa 50 anni dopo la fondazione della colonia megarese di Selinunte, di arginare l’espansione di questa verso est, scelsero perciò di collocare Akragas tra i fiumi Himeras e Halykos, a circa 4 km dal mare, tale posizione le conferiva . (Polibio) Lo svilippo di Gela e Akragas è dipeso soprattutto dalla ricca produzione agricola e dai commerci marittimi con la madrepatria. La dominazione greca durò circa 370 anni, periodo durante il quale Akragas acquistò grande potenza e splendore tanto da essere soprannominata da Pindaro: “La più bella città dei mortali”.

Valle dei Templi

Veduta sulla valle dei templi

La Valle dei Templi è un sito archeologico risalente al periodo ellenico, ubicato dove un tempo sorgeva l’acropoli; oggi corrisponde all’area monumentale della città. La valle è caratterizzata dall’eccezionale stato di conservazione dei templi dorici e dei resti di tre grandi necropoli. Dal 1997 l’intera zona archeologica è Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La valle dei Templi è considerata un’ambìta meta turistica e costituisce un’elevata fonte di turismo per la città e per tutta la Sicilia inoltre, il Parco della Valle è stato definito il Parco Archeologico più grande del mondo (ca. 1.300 ettari) e, solo nel 2008 è stato visitato da 616.503 persone.

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello
Locandina del film Liolà, 1963

Nacque nel 1867 a Girgenti da una famiglia agiata. Studiò al liceo classico di Palermo, poi si iscrisse alla facoltà di Lettere. Di quì passò, nel 1887 all’Università di Roma, poi a quella di Bonn dove conseguì la laurea. Al suo ritorno, volendo dedicarsi alla letteraura, si stabilì a Roma dove cominciò a collaborare con poesie e scritti critici a riviste come la      “Nuova Antologia” e “Il Marzocco” . Nel 1894 sposò Antonietta Portulano, dalla quale ebbe tre figli. Nel 1897 gli venne conferito, presso l’Istituto Supeiore di Magistero, la cattedra di stilistica e letteratura italiana che tenne fino al 1925. Seguì, a partire dal 1903, un periodo difficile per lo scrittore a causa della rovina dell’azienda paterna e con essa del patrimonio suo e della moglie. Nel frattempo pubblicò poesie, saggi, romanzi e novelle, ma la fama gli arrivò come autore drammatico. A partire dal 1922 ordinò le sue novelle nella raccolta “Novelle per un anno”, che allude al progetto, rimasto incompiuto,(con un totale di 218 novelle), di scrivere una novella per ogni giorno dell’anno. Nel 1925 Luigi Pirandello lasciò l’insegnamento per dirigere il Teatro d’Arte di Roma e fondare una sua compagnia. Nel 1934 gli fu conferito il premio Nobel per la Letteratura. Morì a Roma nel 1936.

Liolà è... poesia e teatro!

Liolà è una commedia di Pirandello scritta nel 1916 durante la prima guerra mondiale, in un momento molto doloroso della vita dell’autore; il figlio era detenuto in un campo di prigioneri di guerra e la moglie cadeva sempre più in frequenti crisi della sua malattia mentale. L’opera invece, nonostante questa angosciosa situazione, è una commedia molto giocosa ed allegra, quasi spensierata, al punto che l’autore stesso dirà ” è così gioconda che non pare opera mia “. La commedia fu messa in scena per la prima volta il 4 novembre 1916 al Teatro Argentina di Roma con la Compagnia di Angelo Musco. Poichè era scritta totalmente in lingua siciliana, all’inizio pubblico e critica avevano molte difficoltà a comprendere i dialoghi. Questo inconveniente convinse l’autore ad inserire nel testo una traduzione in italiano. La vicenda di Liolà è ispirata ad un episodio del IV capitolo del romanzo “Il fu Mattia Pascal” ed ha per protagonista Nieli Schillaci, detto Liolà, personaggio spensierato e vagabondo, appassionato di canto e di poesia, sempre in sintonia con il mondo e la natura.

Haju pi ciriveddu un firrialoru: sciuscia lu ventu e mi lu fa girari.
Gira cu mmia lu munnu tutt’a ccoru, e nun cc’è versu ca si po firmari.
Oggi pi ttia ti dicu ca nni moru, ma tu dumani, cchiù nun m’aspittari.
Haju pi ciriveddu un firrialoru: sciuscia lu ventu e mi lu fa girari.

Ho un cervello un mulinello:  il vento soffia e me lo fa girare.
Con me, gira il mondo, e pare gira e pare gira e pare gira e pare un carosello.
Oggi per te mi struggo, m’arrovello, sembro uscito di cervello; ma tu domani, cara comare, non m’aspettare, non m’aspettare.
Ho per cervello un frullo, un mulinello, il vento soffia e me lo fa girare.

Arsira mi curcavu a lu sirenu; li stiddi foru ca m’arripararu;
lu litticeddu, un parmu di tirrenu;
lu chiumazzeddu, un carduneddu amaru.
Làstimi, fami, siti cripacori;
chi mi nn’importa, si sacciu cantari?
Cantu, e mi s’arricrìa tuttu lu cori;
cantu ed è mia la terra e miu lu mari !
Basta ca cc’è lu suli e la saluti !
Picciotti beddi e picciliddi duci, e ‘na vicchiuzza ccà, comu a mè matri!

Io, questa notte, ho dormito al sereno;
solo le stelle m’han fatto riparo:
Il mio lettuccio, un palmo di terreno;
il mio guanciale, un cardoncello amaro.
Angustie, fame, sete crepacuore? non m’importa di nulla: so cantare! canto, e di gioja mi s’allarga il cuore, è mia tutta la terra e tutto il mare.
Voglio per tutti il sole e la salute;
voglio per me le ragazze leggiadre, teste di bimbi bionde e ricciolute e una vecchietta qua come mia madre.

Il teatro "Luigi Pirandello" di Agrigento

Liolà  1° Atto – L’azione è ambientata nella campagna agrigentina, a settembre. Nella prima scena si vedono delle contadine intente a schiacciare mandorle nel podere dello zio del protagonista, sorvegliate dai cugini di quest’ultimo, il ricco zio Simone Palumbo. Quest’ultimo è in pena perchè, nonostante quattro anni di matrimonio in seconde nozze con la giovane Mita, non ha ancora un figlio a cui lasciare la “roba”, cioè tutti i suoi averi. Su di lui e su questa sua ossessione convergono le trame dei giovani Liolà, Tuzza e Mita. Tuzza è la figlia di zia Croce, la proprietaria del podere, mentre Liolà è uno spensierato bracciante. E’ un grande seduttore, un dongiovanni, tanto che ha reso madri tre ragazze, tenendosi poi i figli ed affidandoli alla madre, zia Ninfa. Mita è un’orfana che zio Simone aveva preso in moglie sperando così di coronare il sogno di un erede: la speranza delusa causa ora il disprezzo per la moglie accusata di una sua presunta sterilità. Tuzza per far dispetto a Mita, che prima delle nozze aveva una tresca con Liolà, si lascia sedurre da quest’ultimo e ne rimane incinta. Liolà allora si sente in dovere di riparare al torto fatto e chiede la mano di Tuzza, la quale tuttavia rifiuta. Essa, infatti, non vuole un marito che “sarebbe di tutte”. Con la complicità della madre, invece, tenta di far riconoscere il figlio dallo zio, vecchio ma ricco.

Liolà 2° Atto –  Lo zio Simone, ormai raggirato da Tuzza che lo ha convinto della sua paternità, con fierezza grida alla moglie che il figlio di Tuzza è suo e che al suo erede lascerà tutte le sue proprietà. Per fuggire dalle ire del marito, Mita si rifugia nella casa di zia Gesa, vicina di casa di Liolà. Quest’ultimo è legato a Mita dal rancore nei confronti di Tuzza: lui perchè offeso dal rifiuto delle nozze riparatrici, lei perchè con l’inganno Tuzza le sta portando via il marito e i suoi averi. Liolà allora offre alla ragazza le sue risorse di amante prolifico per dare allo zio Simone l’erede tanto voluto; lei dapprima rifiuta ma la sera, gli apre la porta di casa.

Liolà 3°

Atto – Si svolge un mese dopo gli avvenimenti precedenti, nel periodo della vendemmia, zio Simone annuncia pubblicamente che la moglie gli ha dato finalmente un figlio legittimo che si va ad aggiungere a quello illegittimo di Tuzza: in realtà nessuno dei due gli appartiene veramente come padre. A questo punto il vecchio vorrebbe che Liolà prendesse in moglie Tuzza, ma lui rifiuta, perchè sposandola avrebbe perso tutta la sua spensieratezza ed affidando quindi anche questo ennesimo figlio alla madre. Tuzza, furibonda, si scaglia addosso a Liolà con un coltello, riuscendo però solo a ferirlo leggermente.

Feste tradizionali

La Sagra del Mandorlo in Fiore

La Sagra del Mandorlo in Fiore è una tradizione popolare che si svolge nel corso del mese di Febbraio, per festeggiare l’anticipo della primavera con il rifiorire dei mandorli, alla quale partecipano gruppi folkloristici provenienti da tutto ilo mondo. La Sagra nasce, nel 1934, a Naro paese della provincia di Agrigento vicino al capoluogo, con l’intento di pubblicizzare i prodotti tipici della Sicilia, nella cornice dell’anticipata primavera dei mandorli fioriti. Nel 1937 si spostò definitivamente ad Agrigento e prese il nome ufficiale di “Sagra del Mandorlo in Fiore” e cominciò ad arricchirsi della partecipazione di gruppi locali e stranieri. Dal 1941 al 1948 la Sagra fu sospesa a causa della seconda guerra mondiale. Nel 1966 è funestata dal tragico evento calamitoso della frana di Agrigento.  Nel corso degli anni la Sagra ha mantenuto il proprio significato culturale di pace tra tutti i popoli della terra. Il momento più significativo è infatti l’accensione della fiaccola dell’amicizia davanti al Tempio della Concordia a seguito di una suggestiva passeggiata, al tramonto, nella Valle dei Templi. Durante la giornata finale si svolge la tradizionale sfilata di tutti i gruppi folkloristici partecipanti, dei carretti siciliani e delle bande musicali presenti. La Sagra si conclude con uno spettacolo al Tempio della Concordia e la premiazione del gruppo che si è distinto, tra gli altri, per danze, musiche e costumi. Il gruppo vincitore è premiato col Tempio d’oro.

San Gerlando

San Gerlando di Agrigento (Besançon, 1030/1040 – Agrigento, 25 febbraio 1100) fu nominato vescovo di Agrigento nel 1088 ed è venerato come santo della Chiesa cattolica dal 1159. Patrono della città di Agrigento, è festeggiato il 25 febbraio.
La festa patronale di San Gerlando è una delle più antiche della città: risale, quasi certamente, al momento in cui il corpo del santo venne portato dal sepolcro primitivo ad un altare all’interno della Cattedrale. In tempi antichi la traslazione equivaleva ad una canonizzazione ufficiale, e fu compiuta, per il Santo, nel 1159 dal vescovo Gentile (1154-1171), dal clero della diocesi e dai fedeli. Le sue reliquie sono conservate nella Cattedrale di Agrigento, in un’urna d’argento di pregevole fattura. Da parte dei fedeli di Agrigento, ancora oggi, il suo nome viene invocato a difesa di calamità naturali. “San Giullannu senza dannu” cioè ” San Gerlando difendici dal danno o dai danni“, quali tempeste, fulmini e tuoni. In occasione della rovinosa frana del 19 e 20 luglio 1966, che inghiottì grande parte della città, il suo nome venne quotidianamente invocato. La frana non provocò alcuna vittima, fatto che i fedeli interpretarono come intervento del Santo.

San Calogero

La caratteristica festa di San Calogero che si svolge ad Agrigento le prime due domeniche di luglio è caratterizzata, oltre che dal culto appassionato degli agrigentini, dall’antica usanza di preparare un pane votivo a forma di membra umane come ex-voto offerto per le grazie ricevute dal “Santo di li grazi”. Una festa legata al grano che si manifesta con il pane, che dopo essere stato benedetto, per devozione viene distribuito a tutti i fedeli che ne fanno richiesta. “Il pane di San Calò” è un pane particolare, dagli odori inconfondibili del finocchietto selvatico messo nell’impasto e dai semi di sesamo cosparsi sulla crosta dorata. Una festa che richiama antichi rituali atti a favorire i raccolti e a proteggere gli animali, una volta indispensabili per i lavori della terra. La tradizione vuole che durante la processione vengano lanciati sul simulacro, piccole pagnotte di pane votivo benedetto come promessa di abbondanza e di protezione da parte del Santo. Osservando la gente in processione, si avverte il profondo senso di appartenenza che lega il Santo agli agrigentini, un sentimento dalle radici profonde, perpetuati e rafforzatosi nel corso dei secoli dalla costante azione amorevole di tutti i fedeli nei confronti del Santo dei miracoli.